“FragilMente”, via nuova sui Magnaghi: pisciare fuori dalla tazza e..cercare di sistemare un po’

FragilMente_MagnaghiHo avuto la fortuna di iniziare sostanzialmente ad arrampicare in Grignetta, e grazie anche alla successiva non sporadica frequentazione essa è diventata una delle montagne a cui mi sento più legato. Ho vissuto numerose belle giornate e mezze giornate sulle sue pareti, e proprio una delle prime volte, quando avevo ripetuto la Panzeri con Andrea avevo notato in calata il notevole muro a sinistra della via. Una cosa ai limiti della mia immaginazione, ai tempi. Un po’ di anni più avanti, dopo aver aperto alcune vie “trad”, potendo prendere un trapano in prestito ho deciso di cimentarmi nell’apertura a fix.. e “ho pisciato fuori dalla tazza” proprio lì! Un giorno del 2012 con l’aiuto di Mario ho chiodato i primi 8 fix del primo tiro. E mi sono accorto che la parte centrale era molto dura.. Poi lunga pausa su questa possibile via e riflessioni: ho davvero esagerato? Schiodo tutto per cercare di sanare la ferita?
Quest’anno sono riuscito a tornare in Grignetta con l’intento di risalire il tiro fino a dove l’avevo chiodato, per ricordarmi quanto era duro e prendere una decisione su schiodare, o provare a continuare, e su come eventualmente procedere. Ho deciso di continuare, e sono tornato in luglio con Francesco e Christian. Probabilmente il fatto di aver percorso in Grigna alcune vie a spit, che ho trovato talvolta anche un po’ forzate, mi ha fatto pensare che fosse accettabile aggiungerne un’altra completando il tiro che ormai era mezzo chiodato. Forse la Grigna è anche un “laboratorio” per gli arrampicatori, “accetta” vari stili, dalle vie con chiodi originali aperte dai “grossi nomi”, alle vie richiodate con progetti di richiodatura, fino alle vie nuove trad o a spit. E forse schiodando avrei fatto anche un lavoro peggiore.
Insomma un po’ di dubbi li ho ancora. Magari gli eventuali ripetitori mi aiuteranno a chiarirli in un modo o nell’altro!
Qualche cenno sul nome: contiene riferimenti alla salute mentale, ai momenti di disagio mentale che molti (tutti?) almeno un po’ sperimentiamo, al carattere effimero degli elementi che consentono alle dita fragili di una persona di salire su una qualche parete, ai dubbi e alle esitazioni, e un riferimento anche alla fragilità della roccia in alcuni tratti del primo tiro. Ma fragilmente poi le cose si possono fare.

FragilMente_Magnaghi
In sintesi “tecnica”, sono tre tiri di 60, 27 e 33 metri circa rispettivamente, con difficoltà massima di circa 7a e A1 (per ora), aperti dal basso con un obbligatorio di 6c/+. La via è chiodata con fix inox da 10 mm, un chiodo e due cordini su clessidra. Serve proteggersi con una serie di friend.
La prima lunghezza è un tirone che da terra percorre tutti i 60m fino al primo naturale riposo (cengia). La parte centrale del tiro si passa in A1. Su questo tratto ci sono piccole prese, stimo che la difficoltà in libera sia piuttosto elevata. Se qualcuno si cimentasse, sarei molto contento di sapere cosa ne pensa. Dal canto mio, nel frattempo mi propongo di allenarmi di più e tornare a provare a abbozzare qualche movimento. L’inizio e la fine del tiro si scalano meno difficilmente, con qualche passo obbligato, con le difficoltà indicate sopra. La fine del tiro è da proteggere, a parte la presenza di un cordino su clessidra (che indica anche la direzione). E’ consigliabile usare rinvii lunghi o sfalsare le mezze corde nei primi 4 fix del tiro per limitare gli attriti.
La seconda lunghezza percorre un muretto protetto da un chiodo arancione (lasciato) e segue poi una fessura. Si prosegue proteggendosi con i friend fino alla sosta esistente della via “L’anima delle nuvole”. Complessivamente circa 6b.
La terza lunghezza parte tra la via “L’anima delle nuvole” e la sua variante a destra, mantenendosi tra le rispettive linee di fix (la direzione viene data dall’anello di cordino lasciato attorno alla piccola clessidra sopra il primo bombé. Si usano protezioni veloci per tutto il tiro, superando dapprima la placca, poi il bombé e il successivo muretto, fino ad arrivare per roccia più articolata alla sosta esistente della variante destra de “L’anima delle nuvole” (si veda lo schizzo su base fotografica per avere una visione più chiara). Preciso che nella seconda metà del tiro si passa vicino a un fix con cordone in posizione isolata (non utilizzato come protezione in apertura) che non mi è parso far parte di alcuna via, ma mi è piuttosto sembrato un ancoraggio usato da altri in precedenza per lavori di chiodatura. Complessivamente circa 6b.
Di fatto la seconda e la terza lunghezza sono interamente “trad” e le soste già esistenti. Non ho aggiunto materiale per non creare confusione con le vie pre-esistenti, e perché la roccia lo consente.
Si può scendere percorrendo un breve tratto di cresta in discesa fino all’intaglio, dove ci sono le calate della “Panzeri”.

Ringrazio i compagni di cordata citati che hanno reso possibile questo percorso. E grazie Grignetta che hai permesso tutto ciò!
Fragilmente,
Paolo

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[L’inizio della via “FragilMente”]

Infortunio, opportunità

Condivido l’esperienza di un infortunio sportivo alla puleggia “A2″ dell’anulare, potrebbe fornire qualche spunto.
E contestualmente mi propongo di riprendere in mano questo blog, nel quale per un motivo o l’altro non ho scritto a lungo.

14 agosto. Prima di cena, lungo la strada per raggiungere la famiglia per ferragosto, mi fermo in falesia per arrampicare un poco. Arrampico in autosicura da primo sul quarto tiro di questa breve sessione -quindi non sono freddo, anzi un poco ghisato-, tengo un piccolo bidito semiarcuato, con anulare e medio della mano sinistra.. …”POP”!
Sento chiaramente il suono, non provo dolore, ma avverto la perdita di capacità di carico. Mi appendo.
Mi dispiaccio molto (smadonno un pochino) che non potrò andare il successivo w-e a continuare ad aprire la via col socio (ci tenevo e ci teneva pure lui! ma si rivelerà paziente), e temo anche di non riuscire a riprendermi in tempi buoni per iniziare a lavorare come istruttore nella palestra Manga a fine agosto e settembre!
Cosa ho sbagliato? (e cioè cosa posso migliorare la prossima volta?)
Non mi sembra che il piede sia scivolato, o il movimento fosse troppo duro e non controllato.
Era il quarto tiro, non direi che non ero ben riscaldato..
L’errore che trovo è che ho fatto trave il giorno prima, in un periodo di basso carico di arrampicata. Forse ho sollecitato le dita e le pulegge più di quanto pensassi e non ho lasciato riposare a sufficienza.
Come ho detto, no dolore, ma perdita di capacità di carico. Poco gonfiore, indolenzimento alla base del dito, vicino al palmo, dove si tiene l’anello.
Nei giorni successivi all’infortunio quando mobilizzo il dito passivamente, piegandolo del tutto, sento un fastidio sopra l’articolazione PIP, dovrebbe essere l’estensore che tira. Avverto una perdita del range di mobilità.
Dopo 10 giorni vedo la dottoressa Mirella De Ruvo. Fa un esame clinico manuale, poi un’ecografia dove riscontra la lesione “parziale” puleggia A2. Quello che sospettavo. Nell’ecografia viene misurata una separazione tendine-osso di 4,5 mm. Ciò ricade nell’intervallo tra 3 e 5 mm, e quindi si tratta di una cosiddetta “lesione parziale”. Al di sopra dei 5 millimetri si parlerebbe di rottura completa, al di sotto di questo range sarebbe stato forse qualcosa come uno stiramento senza rottura, più velocemente risolvibile.
Un fisioterapista dello studio della dottoressa, realizza due tutori in materiale plastico termoformabile, uno per la notte (più grosso), e uno per il giorno, più “agile” e meno ingombrante.

Mi suggeriscono di mobilizzare passivamente il dito, di giorno, circa ogni ora, portandolo con la forza dell’altra mano in posizione stesa, ma tenendolo al contempo a 90 gradi rispetto al palmo, per non distanziare il tendine dall’osso e non sollecitare quindi la cicatrice della puleggia che è in formazione.
Inoltre mi suggeriscono anche di usare il bendaggio “Coban” nei casi in cui volessi togliere il tutore di giorno (o anche congiuntamente al tutore diurno). E’ un bendaggio che con una leggera azione compressiva aiuta anche a sgonfiare la parte bendata.
Dal punto di vista alimentare mi dicono di prendere l’integratore Tendisulfur forte, 1 bustina al giorno per 14 giorni.

Dopo due settimane mi dicono di telefonare.
Telefono alla dottoressa, che mi dice di applicare pressione con le dita della mano destra sulla puleggia infortunata. Poiché avverto un certo dolore mi suggerisce di tenere il tutore ancora una settimana (per un totale di 3 settimane). Alla fine di questa settimana mi dice di togliere i tutori e provare ad arrampicare un falesia su cose molto facili. Mi dice anche di prendere l’integratore per altre 2 settimane.
Da quel giorno (circa un mese fa) ho potuto crescere gradualmente in intensità di arrampicata, sentendo il dito tornare sempre più stabile e meno dolorante (in generale ho riscontrato meno dolore sul verticale invece che su forte strapiombo). Manca ancora un bel po’ a tornare alle mie condizioni normali, ma mi sembra di fare buoni progressi. Vi saprò dire in futuro!
Per ora sono già molto contento di riuscire a arrampicare anche se con qualche limitazione.

Fin qui mi sono dilungato sugli aspetti “tecnici” dell’infortunio, ora faccio qualche considerazione collaterale.
Come ottimamente consigliato anche da Dave MacLeod nel suo libro “Make or break” (http://www.davemacleod.com/shop/makeorbreak.html), un infortunio può essere un’occasione per fare altro, per coltivare altre cose trascurate nella propria vita, come vedere il tale amico, fare un lavoretto, farsi un fine settimana via con la famiglia, leggere di più, andare a un concerto, organizzare una serata culturale, fare un’attività sportiva diversa, ecc. Oppure, rimanendo focalizzati sull’arrampicata, può essere l’occasione per approfondire aspetti dell’arrampicata che si trascurano in altri momenti, per fare esempi: stretching, esercizi di condizionamento, attività di potenziamento muscolare per l’arrampicata che non coinvolgano eccessivamente la parte infortunata. O anche studiare e provare le tecniche dell’arrampicata artificiale, individuare vie facili che normalmente non andreste a ripetere ma che ritenete interessanti e che – non appena l’infortunio sarà in via di guarigione – potranno fare proprio al caso vostro per riprendere a muoversi. Oppure ancora dedicare del tempo alla scalata su ghiaccio o misto, ecc.
Insomma la buona notizia è che possiamo girare l’infortunio a nostro favore.
Personalmente, “grazie” all’infortunio ho potuto:
– dedicare altro tempo di qualità alla famiglia (tra cui due bei fine settimana con begli incontri e pernottamento in rifugio http://www.seccio.it/ e http://www.alpettoditorno.it/);
– inserirmi come istruttore di arrampicata in una palestra (http://www.mangaclimbing.it/);
– andare ad un paio di serate su tematiche che mi interessavano (http://www.freeriversitalia.eu/ e http://www.westclimbingbank.com/);
– capire che il mio metodo di arrampicata in autosicura può essere migliorato e reso più sicuro (https://www.facebook.com/groups/RopeSolo/);
– migliorare la mia routine di riscaldamento per l’arrampicata e fare un po’ di attività complementare all’arrampicata;
– ragionare ulteriormente sulla mia attività di arrampicata e sulle possibili modalità di viverla;
– gestire altre beghe di salute che si sono purtroppo sovrapposte.
E tutto per una piccola puleggia rotta; un’opportunità niente male, no?!

Sogno (quasi realizzato) di mezza estate

“La realtà è il cinque per cento della vita. L’uomo deve sognare per salvarsi.” W. Bonatti

Direi che il sogno è uno dei fondamenti dell’alpinismo. Quando scopri l’arrampicata provi movimenti che ti sembrano impossibili e dopo qualche mese o anno – se hai un po’ di perseveranza – ne superi il limite, che si rivela temporaneo. E già la mente sogna quella montagna, vista in qualche foto di rivista, o nella sua bellezza reale passando nelle vicinanze a piedi; e ti dici: chissà se un giorno sarò così fortunato da potere percorrerne le pareti, stringerne le asperità, caricare gli appoggi.. E se ti guardi indietro ce ne sono di metri di roccia “chissà-se-un-giorno” che sono stati poi da te percorsi, concludendo gioiosamente un percorso più o meno articolato che ti ha portato al momento della salita attesa.
E sono sogni realizzati!! Grande goduria!
La goduria è massima quando oltre all’obiettivo più o meno “centrato”, ci si gusta il percorso per arrivarci, incontrando e conoscendo nuove persone, apprezzando i momenti di allenamento e preparazione in sé e per sé e in prospettiva. Con la salita “finale” si chiude un percorso, gli elementi del percorso sono inanellati e valorizzati dall’obiettivo conclusivo, e viceversa l’obiettivo conclusivo è arricchito e reso significante dal percorso stesso.

Veniamo al sogno specifico: nel post https://primoappiglio.wordpress.com/2016/04/06/obiettivi-e-tempi-in-arrampicata-popopiti-2016/ avevo “reso pubblico” che entro la stagione avrei voluto tentare a vista (o eventualmente “solo” in libera) la via degli Inglesi alla Est del Badile. Obiettivo ambiziosetto. Dopo un percorso che ha compreso qualche arrampicata in fessura, qualche bella nuova conoscenza, e qualche telefonata, mi sono cimentato sulla via, in compagnia appunto di una recente conoscenza, il buon socio Lucio.
In sintesi 2-3 metri particolarmente bagnati e viscidi del traverso per uscire dal diedro sotto il tetto finale hanno interrotto il tentativo a vista in libera, il resto è filato. Personalmente lo considero un piccolo successo, o comunque un insuccesso di grande soddisfazione 🙂 , visto che tra tempi, condizioni della montagna, ecc. non sapevo nemmeno se quest’anno sarei mai arrivato in prossimità del Badile. E poi lo zaino con dentro anche scarponi, ramponi (c’era tanta neve in giro), martello e chiodi non hanno facilitato.
Ho trovato la via davvero molto bella.

E si continua un po’ a sognare, ..tenendo il contatto con la realtà – almeno il 5% 🙂

Grazie a tutte le compagne e compagni di percorso!!

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[Via degli Inglesi, Pizzo Badile (CH)]

 

Ciao Zeb!

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[Al termine della via: ciao Zeb!! – Croce di Ledù, CO]

Questa salita è stata speciale: ho percorso qualche passo di “Zeb”, uno degli apritori della via, per pensarlo e ricordarlo un po’, era un amico che avevo appena fatto tempo a conoscere ma che troppo presto è sparito.. . Con l’amico M siamo andati a ripetere “Il club dei coraggiosi” alla Croce di Ledù, sopra Livo, appena a nord del lago di Como. Luoghi belli, dove abbiamo potuto incontrare un paio di caprioli, un’aquila (credo; forse una di quelle che hanno nidificato in Val Bodengo?), capre e.. parecchie zecche! Di persone invece proprio poche.
La via è stata aperta da Flavio “Zeb” Muschialli e Stefano Pizzagalli e a mio avviso l’itinerario è molto bello e consigliabile. Il versante meridionale della Croce di Ledù offre un pilastro piuttosto compatto e continuo. L’arrampicata è in parte su placche in parte su fessure, il 6c indicato dagli apritori mi è parso bello solido (per salire la via a-vista io ci ho messo un certo impegno), la chiodatura sicura ma non ravvicinata e un po’ da integrare con protezioni veloci.
Durante l’avvicinamento è stato bello non parlare solo di arrampicata e spaziare su vari argomenti, massimi sistemi inclusi: grazie M! (Grazie M anche per le foto!)

Qualche info sulla via nel report di Flavio e Stefano:
http://www.on-ice.it/onice/onice_view_report.php?type=3&id=2566
E se ne volete altre contattatemi pure!

C’è un sito per sapere di più di Flavio e delle iniziative per ricordarlo:

Home

Quest’anno in programma il 25 settembre oltre alla camminata-corsa c’è anche una lotteria per raccogliere fondi per costruire un bivacco in ricordo di Flavio “Zeb”!

Grazie Zeb

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[Sui passi di Zeb e Stefano, belle placche e fessure – Croce di Ledù, CO]

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[Si torna a casa – Croce di Ledù, CO]

La primavera di Mike

La primavera di Mike_foto

É possibile regalarsi una redpoint al compleanno? Intuitivamente verrebbe da concludere di no. I regali – qualcuno potrebbe dire – non dovrebbero comportare sforzi per chi li riceve. E certamente una redpoint – per quanto la via possa essere facile – di sforzi ne comporta. Ma questo argomento non convince. In fondo, spesso facciamo regali che comportano sforzi per i loro destinatari. Pensate ad un libro. Ricevere il libro non richiede certo fatica. Ma talvolta il regalo sta nella comprensione che si ottiene leggendolo. E questa di sforzi ne richiede eccome – specie se il libro è un bel mattonazzo di filosofia politica. No…il dubbio sollevato dalla domanda iniziale è che la redpoint non si può del tutto pianificare. Non possiamo essere sicuri di poterla realizzare in un particolare giorno. Neanche se questo giorno è la nostra personale scadenza – si veda il precedente post di Paolo. Ci sono troppi fattori fuori dal nostro controllo – meteo, condizioni della roccia, alcune condizioni fisiche, disponibilità di compagni, etc. Quindi suona strano dire che siamo noi i fautori di questo regalo. Affinchè tutto fili liscio ci vuole un contributo esterno. Eppure, se non possiamo regalarcela noi, forse qualcun altro la redpoint ce la può regalare. Quantomeno se la via è una via speciale…

Antefatto: l’anno scorso è mancato Mike, un caro amico e collega. Con lui sono stato più volte in Apuane. Durante uno dei nostri giri abbiamo conosciuto Andrea, forte arrampicatore e chiodatore locale. Da allora sono rimasto in contatto con Andrea, che nelle ultime vacanze natalizie mi ha invitato a partecipare alla pulizia e chiodatura di una nuova falesia. Dopo un’intensa mattinata a creare il sentiero di accesso abbiamo chiodato una via. In realtà la gran parte degli spit li ha messi Andrea e la linea la ha individuata lui. Ciononostante è stato così generoso da coinvolgermi nella scelta del nome. Era un giorno caldo e lui ha proposto ‘Primavera d’inverno’. La mia controproposta è stata di dedicarla a Mike. Andrea ha accettato subito e ne è venuto fuori ‘Primavera di Mike’, un nome troppo evocativo perché io lo rovini provando a darne un’interpretazione qui. Lascio fare al lettore e a chi abbia voglia di metterci sopra le mani.

A metà aprile, tre giorni prima del mio compleanno, sono andato alla falesia verso sera e ho provato i movimenti in moulinette. Sono venuti tutti. Bene. Il giorno del mio compleanno sono tornato alla falesia piuttosto presto. In questa stagione il sole si affaccia sulla roccia a mezzogiorno circa, e ovviamente sarebbe stato temerario da parte mia tentare di salire la via assolata. Mi sono scaldato mettendo su i rinvii e in discesa ho riprovato i passi più duri. Poi, dopo una falsa partenza dovuta a un piedino che si è sgretolato sotto il mio peso, sono riuscito nella salita. Si abusa spesso di questa espressione, ma devo dire che è stato proprio un momento ‘magico’ – in parte perché ho sperimentato ancora una volta il fantomatico ‘stato di grazia’ o, come dicono gli inglesi, il sentirsi in the zone; in parte perché avevo un pubblico d’eccellenza che includeva Louise, la moglie di Mike, presente ad incitarmi e a fare quache foto.

Quindi – tornando alla domanda di prima – chi mi ha fatto questo regalo se non sono stato io stesso? Che sia stato Mike, intercedendo da chissà dove affinchè le condizioni fossero ottimali? Boh…può essere che Mike sia davvero solo un cumulo di cenere e che non esista più in questo mondo, nè in alcun universo parallelo. Ma in parte questa salita è senz’altro anche merito suo, della fiducia che ha avuto in me fin da quando ci siamo conosciuti e della determinazione che mi ha dato, sul lavoro e in montagna. E certamente la redpoint è stata un regalo dei presenti: dell’entusiasmo e carica di Louise, dell’ottima sicura e del supporto affettuoso di Jules, degli insulti scherzosi di Mike – un altro Mike – che spesso mi danno più carica di un ripetitivo ‘alè’. Ed è stata anche un regalo dei non presenti: di Andrea per averla ideata, di Matt per avermici portato due giorni prima a provarla, di Steve per avermi introdotto alla curiosa pratica di usare l’Attack per rappezzare i tagli sui polpastrelli, e di Paolo per averci creduto e avermelo comunicato. Grazie a tutti voi per il regalo, dunque.

La primavera di Mike esiste, è cresciuta e sta crescendo. Non so se abbia il carattere di Mike e non sono sicuro che ne rispecchi i punti di forza come arrampicatore. Ma sono certo che si sarebbe divertito a provarla, se non altro per il magnifico contesto. La partenza è un po’ ‘tagliente’: è il pedaggio da pagare fin da subito se si vuole intraprendere il viaggio. Così, anche per i ripetitori che non hanno conosciuto Mike o la storia di questa via, la salita lascerà il segno – se non nel cuore, almeno sulla punta delle dita.

Obiettivi e tempi in arrampicata – “Popòpiti” 2016

Ha senso il percorso logico: Poco tempo per arrampicare –> Maggiore concentrazione, “focus” –> Buoni risultati?

Condivido un ragionamento e una piccola esperienza personale.
L’ulteriore diminuzione negli ultimi anni del tempo che riesco a dedicare all’arrampicata, e alla montagna in generale, ha stimolato in me il pensiero di organizzare le poche ore in modo focalizzato verso un obiettivo.
Non è magari una cosa che uno vuole fare spesso, per non “ingabbiare” lo “spazio libero” che può essere l’arrampicata per ciascuno di noi, e perché richiede un po’ di sforzo e costanza. Però, se si ha un po’ di motivazione, il raggiungimento di obiettivi in un ambito che può starci a cuore tanto quanto a volte accade per l’arrampicata, allora il “gioco” è di soddisfazione e interessante.
Sembra paradossale il partire dal fatto di avere poco tempo per porsi obiettivi più o meno ambiziosi. Forse la molla che agisce in questa circostanza è una qualche  sensazione di relativa urgenza a realizzare obiettivi. Nel mio caso specifico la molla deve essere scattata perché devo aver più o meno inconsciamente pensato: 1) il tempo per l’arrampicata potrebbe diventare ancora meno (crescenti esigenze organizzative in famiglia/lavoro/ecc.?); 2) l’età avanza, e anche se sono relativamente giovane e l’arrampicata può essere uno sport che è possibile portare avanti negli anni di “maturità”, il tempo non è infinito..
Quindi una generale sensazione di “pepe al fondoschiena”, giustificata o meno che sia, aiuta.
Come sfruttare e canalizzare questa tensione a fare qualcosa di generico in concreti obiettivi specifici?

Ultimamente ho letto lo stimolante libro di Dave Mac Leod
http://www.davemacleod.com/shop/9outof10climbers.html
che, per chi non lo conoscesse, è un arrampicatore davvero forte e preparato su molti terreni.
Il libro affronta molti aspetti di “psicologia” e strategia dello sport. Uno dei preziosi suggerimenti di Dave è di porsi degli obiettivi concreti (e ragionevoli), e di definire anche  il termine entro cui raggiungerli. Inoltre suggerisce di “rendere pubblici” questi obiettivi, tra amici e conoscenti per esempio, per metterci un po’ la faccia e avere un riscontro esterno sul mancato o riuscito raggiungimento degli obiettivi. Sembra una banalità, ma direi che non lo è. E’ facile porsi degli obiettivi nel proprio intimo, ma che a volte sono poco definiti, e difficilmente verificabili. Ma se li esplicito è più difficile “defilarsi” e giustificare un eventuale mancato impegno/raggiungimento.
(Il libro contiene altri suggerimenti stimolanti, è una lettura consigliabile a chi vuole provare a migliorarsi nell’arrampicata)

In dettaglio il mio percorso è stato: valutare i tempi che si possono-vogliono mettere a disposizione e pensare a obiettivi concreti.

I miei tempi a disposizione:
– 1 allenamento (su pannello) alla settimana;
– 1 mezza giornata di arrampicata nel fine-settimana (in questo periodo invernale, visti i tempi e gli obiettivi, ho rivolto l’attenzione a arrampicate in falesia, la mattina).

(Per essere precisi, “a consuntivo”, a questi momenti ho potuto aggiungere, sull’arco dei 3 mesi circa di percorso, 2-3 mezze giornate aggiuntive e 3-4 brevi allenamenti).

I propositi, o “popòpiti” (come aveva pronunciato la parola nostra figlia, orecchiandola intorno a Capodanno), formulati nei primi giorni dell’anno:
– 2 monotiri (sportivi) di grado 7c+ (grado possibilmente solido) entro fine gennaio 2016;
– 1 monotiro di grado 8a (grado possibilmente solido) entro fine marzo 2016.

L’esito dell'”esperimento” è stato piacevolmente positivo!
Per info: entro gennaio ho avuto la fortuna di salire “Ambaradan bis” 7c+ alle Torrette, LC, e “Cuba e nada mas” 7c+ al Sasso Giallo, CO – gradato 8a, ma personalmente penserei a mezzo grado in meno. A febbraio, anche se non avevo propositi specifici, ho salito “D-day” alla Pala del S. Martino, LC, 7c+/8a. Entro fine marzo ho salito “Tutti (i) frutti” 8a alle Torrette, LC.

Prossimi “popòpiti”? Sarebbe utile formularli e dare scadenze per cercare di realizzarli, come dice il buon Dave di oltremanica!
E allora provo a mettermi in gioco, in modo ancora più pubblico rispetto a una ristretta cerchia di amici:

– Entro fine giugno 2016 salire un tiro duro (duro per me, magari non per arrampicatori forti 🙂 ) in fessura, da proteggere con friends, dadi, ecc.
Non ho ancora messo a fuoco cosa potrebbe essere in quanto le fessure d’incastro sono un terreno che conosco relativamente poco, e i posti dove scalare queste genere di itinerari sono difficilmente visitabili in mezza giornata (dovrò cercare di intervenire in qualche modo sui miei tempi a disposizione, cercando di tirare fuori una giornata intera ogni tanto). Per ora ho iniziato a cimentarmi per questo obiettivo solo nel recente fine-settimana con amici nel Peak District (vedi foto), piacevolissima eccezione ai soliti tempi stretti.

– Entro l’anno (la stagione) tentare a vista (o eventualmente “solo” in libera) la via degli Inglesi alla Est del Badile.

Qui forse la cosa sì fa ambiziosa, perché devo trovare un socio che condivide un po’ l’obiettivo, probabilmente prendere giorni di ferie per salire (e scendere) da quelle parti, e incrociare queste cose con le condizioni della montagna. Comunque sia, col socio faremo un bel giro!

Non so se sia sempre bello ragionare per obiettivi, forse se si esagerasse si potrebbe sacrificare la spensieratezza e alcuni aspetti più liberi dell’arrampicata, ma avendolo fatto poco in passato, al momento la trovo una cosa interessante e un po’ nuova.
Buone arrampicate!

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(A scuola di incastri su “London Wall”, Millstone, Peak District, UK – foto M. Caiati, grazie!)

REGALA ARRAMPICATA!

A Natale regala momenti di arrampicata su misura!
Per elaborare la tua idea e ulteriori informazioni: Paolo 335 1736687

Idee di per-corsi:

– “Impariamo ad arrampicare. Dal 3a al 6a
Insieme seguiamo un percorso di arrampicata indoor e allenamento che ti porterà a spingere più avanti i tuoi limiti. Un approccio combinato di preparazione motoria, mentale e fisica, senza mai dimenticare di divertirsi!
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– “Dal verticale allo strapiombo
Arricchire il bagaglio di movimenti possibili e abituarsi alla progressione in strapiombo. Aspetti fisici, motori, mentali e strategici per gustarsi al meglio la forza di gravità.
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– “Dalla resina alla roccia
Esercizi propedeutici all’arrampicata su roccia naturale. Un percorso per trasferire su roccia le capacità acquisite su resina nel modo più efficace possibile. Il percorso comprende una parte iniziale di attività indoor e una seconda parte di arrampicata outdoor su parete naturale CON GUIDA ALPINA.
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In generale i per-corsi si basano su pacchetti di 8 ore indoor, al termine dei quali si verifica il raggiungimento degli obiettivi e si valuta come/se continuare. E’ comunque possibile organizzare attività di arrampicata di durata più limitata nel tempo.
Consiglio di dividere le 8 ore in lezioni di durata da un minimo di 1h 15′ a un massimo di 2h 30′. Possiamo valutare insieme la durata della lezione, anche sulla base dell’adattamento a gestire il carico di lavoro.

Il prezzo è di 100 euro per pacchetto da 8 ore, comprensivo di tessera Versante Nord.

Per i corsi in cui c’è una seconda parte di arrampicata outdoor su parete di roccia con Guida Alpina il prezzo è di 190 euro (per il pacchetto di 8 ore + attività su roccia naturale).

Un paio di proposte più brevi di arrampicata:
– Stage su ritmo, strategia e respirazione
– Stage su gestione della corda, rinviata e cadute
Il numero di ore per queste proposte tematiche lo possiamo stabilire insieme in base agli obiettivi.

Corsi “su misura”
Gli aspetti e i dettagli su cui lavorare in arrampicata sono moltissimi. Tutti noi arrampicatori cerchiamo di migliorarli, anche se poco a poco, ed è questa continua attenzione che ci fa progredire. Puoi proporre l’oggetto su cui focalizzare il corso oppure possiamo organizzare un momento di arrampicata insieme per poter valutare congiuntamente su quali aspetti lavorare prioritariamente.

Penso che l’arrampicata sia un percorso potenzialmente non limitato, in cui l’esperienza fisica e mentale può continuare indefinitamente a dare emozioni se si ha la capacità, la pazienza e la motivazione per trovare sempre nuovi stimoli che mantengano l’attività interessante e arricchente.
Naturalmente l’aspetto sociale di praticare insieme questa attività è tutt’altro che secondario: cercheremo sempre di trascorrere insieme un tempo molto piacevole, tra una “strizzata” di una presa e l’altra!

Insieme agli auguri di buone feste e all’augurio di arrampicare insieme presto, porgo i miei più verticali saluti!
Paolo

Anti-zoccolo da rampone fai-da-te

Una piccola idea per farsi da soli un anti-zoccolo ECONOMICO.
Per coloro a cui la parola suona strana: l’anti-zoccolo è un elemento piatto da applicare sotto i ramponi per evitare che la neve si appiccichi formando pericolosi “zoccoli”,  più alti delle più azzardate zeppe da discoteca, che non permettendo alle punte dei ramponi di far presa sul suolo rendono inefficaci questi ultimi (con possibili conseguenze gravi..).
Poiché per il rampone “tecnico” che posseggo il produttore non ha realizzato e commercializzato il corrispondente anti-zoccolo, me ne sono costruito uno con:
1) foglio di “plastica” (polipropilene) dello spessore di circa 1 millimetro;
2) nastro adesivo “americano”.
Spesa complessiva: pochi euro (tra uno e due euro per il foglio di polipropilene e poco più per il nastro).
Materiale necessario per la costruzione: forbici, 1 foglio di carta per fare il modello e matita/penna per disegnarlo.
Per prima cosa ho “studiato” una forma dell’anti-zoccolo che potesse adattarsi bene al fondo dei ramponi, ritagliando un modello di carta della parte di anti-zoccolo per l’avampiede e della parte per il tacco. Ho poi ricalcato il modello sul foglio di plastica e ho tagliato quest’ultimo con forma uguale al modello. Ho fissato l’anti-zoccolo al rampone con il nastro (se il nastro del rotolo è troppo largo, dividetelo in due per il lungo per ottenere la larghezza desiderata). Fine.

NOTA: il nastro è soggetto a usura quindi dopo la vostra uscita in ambiente, prima della vostra successiva salita, verificate che il nastro tenga ancora saldamente la plastica dell’anti-zoccolo fissa sotto il rampone, per eventualmente sostituire/rinforzare il nastro con altro nastro.

DISCLAIMER: L’idea proposta naturalmente è solo uno spunto; per ciascun rampone andrà studiata la forma giusta e testata la funzionalità e l’affidabilità dell’anti-zoccolo, mi raccomando.

Spero che possa essere di qualche utilità, buone salite “a tacco basso”!
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[Foglio di polipropilene o “simili”]
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[Foglio di polipropilene o “simili”, spessore 1 millimetro circa, è sufficiente]
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[Modello di carta per “studiare” la forma migliore]

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[Foglio di polipropilene ritagliato per il tacco dell’anti-zoccolo]

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[Materiale necessario per realizzare l’anti-zoccolo]

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[Anti-zoccolo dopo 3 giorni d’uso, avampiede]

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[Anti-zoccolo dopo 3 giorni d’uso, tacco]

Riflessioni sull’avventura verticale…a Londra!

di Federico “Fezzi” Picinali.

La Manica&corta a Swanage_blog

[La Manica.. corta a Swanage, UK]

Non sono un alpinista. Forse vorrei esserlo. Son semplicemente un grande appassionato di arrampicata – anche se la mia passione, a dire il vero, è tutt’altro che ‘semplice’! Ne pratico diverse discipline come meglio riesco, cioè male. Guardo video e film di arrampicata a ripetizione; leggo articoli che spaziano da racconti di ascensioni a consigli sull’allenamento; leggo (auto)biografie di scalatori, libri che raccontano la storia di luoghi importanti del mondo verticale, resoconti di spedizioni, etc. In generale, mi attrae l’avventura verticale, quella ‘asciutta’ più di quella ghiacciata.

Vivo a Londra da ormai quasi quattro anni. Prima ho vissuto un anno e mezzo a Trento e due anni e mezzo negli Stati Uniti, spezzettati in vari periodi e passati in diverse città. Ma la gran parte della mia vita l’ho trascorsa a Milano, la mia città natale. Lì c’è ancora un pezzo della mia famiglia e ci sono ancora alcuni dei miei amici più cari. Ma questa non vuol essere una noiosa storia dei miei pellegrinaggi; solo un breve racconto su come sopravvive un appassionato di arrampicata a Londra.

Come noto, Milano è in un’ottima posizione per chi ama arrampicare. Non solo è più o meno centrale rispetto all’arco alpino, ma è molto vicina ad un gran numero di falesie e pareti. In 45 minuti di macchina si arriva a Lecco e lì si apre un mondo di roccia. E per chi ha meno tempo e non disdegna luoghi un pò lugubri, c’è anche qualcosa più vicino. Di Trento non c’è neanche bisogno di menzionare la praticità: in falesia o a far boulder ci si va in bicicletta. E Londra? Che cosa offrono i suoi dintorni?

In realtà ben poco. L’area d’arrampicata più vicina è a un’ora e mezza circa, nel Sussex. È la zona generalmente chiamata Southern Sandstone. Per carità, è una zona ricca di storia, dove si son misurati da Dawes a Moon, con tante vie dure e ipertecniche. Ma…è zona di toprope (i.e., si scala in moulinette). La roccia è troppo morbida per piantare spit o usare protezioni veloci. Quindi o sei un pazzo free soloer o ti devi accontentare ad avere la corda dall’alto. E quest’ultima opzione non è certo il massimo come avventura verticale. Si, c’è del boulder, peraltro in continua evoluzione – non tanto per via di nuove aperture ma perchè i morbidi appigli di arenaria cambiano forma col tempo! Ma….forse questo non è abbastanza per convincermi a viaggi frequenti. Tutto il resto (ad eccezione di falesie trad minori) è ad almeno due ore e mezza di macchina da casa mia: a sud-ovest ci sono le magnifiche scogliere di Swanage e Portland, a ovest c’è la Cheddar Gorge e a nord, ovviamente, il Peak District. Piu distanti sono le bellissime falesie del Devon, del Galles, del Lake District…

Nonostante le molte ore di viaggio, l’uscita in giornata è cosa piuttosto normale per l’arrampicatore londinese motivato. Certo, ci vuole una macchina, ci vuole una sveglia da ascensione scialpinistica e – l’ingrediente più importante – ci vogliono buoni compagni di viaggio. Arrivato a Londra quattro anni fa la macchina non l’avevo. La voglia della sveglia scialpinistica me la facevo venire. Fortunatamente i compagni di viaggio li ho trovati molto in fretta, nella palestra dove mi allenavo. Compagni di viaggio d’eccezione: Mike R., John e Mike P. Tutti più grandi di me e scalatori trad esperti con salite impegnative e piuttosto spaventose – almeno ai miei occhi di timido arrampicatore sportivo – alle spalle. E così abbiamo iniziato una routine abbastanza intensa di uscite nel finesettimana. Spesso si andava a Swanage e nel Peak District. Insomma, prevalentente trad…con qualche raro sprazzo di arrampicata sportiva.

High Tor&calcare trad nel Peak district!_blog

[High Tor, calcare trad nel Peak district!, UK]

Due avvenimenti hanno interrotto il ritmo. Il primo, l’incontro con Jules; il secondo la malattia di uno dei miei compagni. Jules vive e lavora a Nottingham – sì, la città dello sceriffo… o lo sceriffo della città…va beh – che si trova a due ore di treno a nord di Londra. La fortuna vuole – ma, in fondo, non è fortuna: è un ingrediente, seppur non fondamentale, della nostra relazione – che a Jules piaccia molto l’arrampicata. Scalava da poco prima che ci conoscessimo. È forte e tenace e continua a migliorare – a un passo molto più veloce del mio! Le relazioni a distanza presentano qualche pro e molti contro. Tra questi ultimi c’è la necessità di viaggiare per incontrarsi appena il lavoro lo permette. Siamo entrambi accademici e quindi godiamo di una certa flessibilità. Salvo le ore di insegnamento e i meeting con studenti e colleghi, possiamo lavorare più o meno dove vogliamo. Così, ogni weekend uno dei due si muove per incontrare l’altra/o. Ma se il weekend diventa l’occasione per me e Jules di incontrarci, vuol dire che non può più essere l’occasione per scalare con i miei compagni londinesi. Solo in rari casi siamo riusciti a scalare tutti insieme. E comunque, il tempo e le energie che il viaggio spesso toglie al lavoro, comportano qualche rinuncia sul fronte dell’arrampicata. La plastica è in fondo il modo migliore per arrampicare senza restare indietro con gli impegni lavorativi. Quindi, anche se il Peak District è poco più a nord di Nottingham, Jules e io siamo spesso costretti a rimandare uscite nel finesettimana per stare al passo col lavoro. Questo vale almeno nei mesi dei corsi (ovvero il term time), in cui le scadenze sono tante e i ritmi sono particolarmente elevati. In ogni caso, nonostante i miei viaggi a Nottingham e le visite di Jules a Londra, avrei sicuramente fatto più sforzi per scalare con Mike R., John e Mike P. se non fosse che anche loro hanno iniziato a scalare sempre meno insieme. Appunto, a causa di una malattia…

Ecco spiegato il perchè in questo periodo spendo molte più ore a tirare prese di plastica o legno che non prese di roccia…e, dato questo stato di cose, non posso non chiedermi come possa mantenersi ed essere alimentata la mia passione per l’avventura. È possibile conciliare questo disequilibrio tra ore indoor e ore outdoor con la mia passione, senza essere perennemente frustrato? Direi di sì. Senz’altro riesco a evitare la frustrazione. Resta però una continua tensione tra ciò che faccio (in soldoni, plastica) e ciò che vorrei fare (in soldoni, roccia). Ma questa tensione, in fondo, non è affatto negativa: è un positivo, se non vitale stimolo all’azione. Ciò che faccio lo faccio in vista di ciò che vorrei fare. E, perciò, ciò che faccio diventa esso stesso ciò che vorrei fare. È uno po’ uno scioglilingua, me ne rendo conto. In altre parole, credo di riuscire ad appagare almeno in parte il mio desiderio di avventura nell’allenamento. Ma perchè questo avvenga è necessario creare la prospettiva di mettere in pratica ciò che imparo. Ecco la tensione. Le due fondamentali dimensioni della mia avventura sono, dunque, l’allenamento e la prospettiva. La prospettiva consiste nel pianificare viaggi o uscite – con Jules, col mio caro amico Paolo, con i miei compagni londinesi… – che abbiano come tema centrale l’avventura sulla montagna ‘asciutta’. Ma come faccio ad appagare il desiderio di avventura nell’allenamento? In buona parte proprio attraverso la pura e semplice prospettiva a breve, medio o lungo termine. Ad esempio, pensando che una buona sessione di boulder mi permetterà di chiudere qualche boulder o tiro su roccia in un imminente viaggio. In aggiunta, ho trovato un modo tutto mio di vivere l’avventura nell’allenamento, un modo che non prescinde dalla prospettiva, ma in qualche modo la anticipa, la rende presente. Da qualche mese ho un piccolo muro di arrampicata a casa – uno stravizio, lo so! È in una stanza relativamente piccola, con una grande finestra che dà sul giardino. Ho messo in questa stanza una libreria che ho riempito con tutti i miei libri e riviste di montagna. Alle pareti ho appeso due piccoli poster del Film Festival di Trento, una gigantografia dell’Aig. Noire regalatami da Jules – montagna che ho salito con (anche se sarebbe più corretto scrivere ‘montagna su cui mi ha portato’) Paolo – e una vecchia copertina della Domenica del Corriere, con un disegno che raffigura Walter Bonatti mentre scala il Petit Dru – la chiamo il Bonatti shrine, ovvero l’ ‘altarino di Bonatti’, pur pensando che probabilmente Bonatti non avrebbe apprezzato un’idolatria della sua persona. C’è poi un tavolino con un leggio sul quale tengo aperto un grosso libro su Cassin oppure – se invece che avere nostalgia di casa mi sento a casa dove già sono – il libro Peak Rock, un entusiasmante volume sulla storia dell’arrampicata nel Peak District dall’Ottocento fino ai giorni nostri. E così, dopo essermi accanito su un boulder di mia invenzione al suono dei Rage against the machine o dei Foo fighters, riprendo fiato leggendo, ad esempio, della salita di Cassin al Badile, o di quella di Whillans sul Pilone Centrale, o di Boardman e Tasker sul Changabang, o guardando le foto di un nuovo sito di boulder in Turchia o qualche video di arrampicata (e.g., il video-musicale di Rustam Gelmanov, per me un capolavoro). Attraverso questi media l’immaginazione spazia…direi ‘ove per poco il cor non si spaura’. Non solo i libri, le riviste, i video sono un’ispirazione per viaggi (magari viaggi che mai realizzerò, ma basta che io creda nella loro possibilità) e dunque rafforzano la progettualità. Questi media – insieme all’ambiente ‘montano’ della mia stanzetta – producono anche l’impressione (davvero vivida talvolta) di essere tra le ‘mie montagne’. ‘Mie’ non significa certo che credo che alcuna montagna mi appartenga. Si tratta di un’ovvia citazione bonattiana e, per me, vuol dire proprio l’opposto. Sento che sono io ad appartenere alle montagne; forse non a tutte, ma ad alcune senz’altro. Quando sento di appartenere a loro – magari mentre spazzolo qualche presa o mollo un urlaccio nel tentativo di trattenerla dopo un bel lancio – sento di essere lì dove loro stanno, sento di poterle percorrere, di potermi avventurare sui loro versanti ‘asciutti’.

Dunque, in questo periodo della mia vita l’avventura – questo ‘casalingo’ senso di appartenenza alla montagna insieme all’esaltante attesa di, e preparazione per, un viaggio futuro – sembra essere più nella mia testa che non nella relazione fisica tra il mio corpo e questo mondo. Ma, in fondo, credo sia così anche quando mi grattugio le mani nel Peak District o mi lascio perdere su qualche sentiero in Apuane. Non sono certo il primo a credere che l’avventura sia prima di tutto in noi stessi, nel modo in cui percepiamo e costruiamo ciò che siamo in, e con, ciò che ci circonda. E in, e con, chi ci circonda, ovviamente…

Ascelle apuaniche_blog

[Ascelle apuaniche, Alpi Apuane]

Il mattino ha l’Oro (Saiwa) in bocca. Non si finisce mai di imparare.

08122014(004)

[Posto da colazione. Valsassina (LC)]

Ma quanto mi godo questi biscottini mangiati addossato alla roccia, seduto nell’erba col sole del primo mattino spalmato in faccia!
Il biscotto secco, tipo Oro Saiwa -una sua versione tarocca, in verità-, ha qui un gusto speciale. Mi godo dieci minuti di tranquillità dopo la pedalata dalla stazione del treno su per la valle, e la successiva salita del sentiero di avvicinamento alla parete.
Chiudo gli occhi e, respirando un po’ più profondamente, mi faccio scaldare anche le palpebre.
Poi comincio l’arrampicata, con la sua logica di corde e manovre di assicurazione.
A un certo punto della progressione mi allungo molto, stendendo il mio braccio verso l’alto, e… stac!
Si rompe il cordino che tiene in posizione il Gri-Gri.
Niente di grave dal punto di vista della trattenuta di un’eventuale caduta, ma da qui in poi rende le cose più scomode perché senza quel piccolo anellino di cordino che permette di agganciarlo a una sorta di pettorale di fettuccia, l’autobloccante Gri-Gri assume posizioni in cui la corda durante la scalata non scorre.
E io mica ce l’ho qui con me un cordino di scorta di quel diametro.. NON SI FINISCE MAI DI IMPARARE 😉
Comunque, forse per essere sicuro di memorizzare il proposito di portarsi sempre del cordino sottile per sostituire eventualmente l’anellino, continuo la salita ravanando più del normale per far scorrere la corda nel Gri-Gri mentre salgo. Così ogni metro che arrampico, mi “ripeto la lezione” e mi assicuro di averla ben chiara..
Alla fine le cose non si inceppano del tutto e riesco a completare la (breve) salita e, soddisfatto, a iniziare le calate di discesa. Sfilata l’ultima doppia che mi riconsegna alla base della parete, con passo allegro percorro a ritroso la ferratina e il sentiero di accesso, tra il crepitio delle foglie secche e il respiro di una bell’aria tardo-autunnale.
Inforco la bicicletta e mi gusto la discesa accompagnato dal sibilo dei raggi delle ruote verso la stazione, dove il treno mi porterà per pranzo a casa.
E nello zaino porto al piano con me la lezione e una mattinata d’Oro, con animo grato.

08122014(002)
[Viva il “treno-bici”!]

08122014(005)
[Tirando giù la corda dell’ultima calata.]
gri-gri

[Sostituzione del cordino di posizione del Gri-Gri]

Foto del 44483260-12-2457004 alle 12:21

[Anellino di cordino di posizione del Gri-Gri ripristinato]